“Nulla di quello che vedete in ‘Il talento del calabrone’ è reale”

il talento del calabrone

“Nulla di quello che vedete in ‘Il talento del calabrone’ è reale”

Incontro streaming con Giacomo Cimini (regista)
di "Il talento del calabrone"
In concorso per il Globo d'Oro 2020-2021

 

“Ho avuto la idea di utilizzare la tecnologia di ripresa degli anni 60-70, ossia alle spalle di un cubo di cristallo ricostruito in studio c’era uno schermo cinematografico.” Questo è quanto ha detto il regista Giacomo Cimini durante l’incontro virtuale, il 20 aprile 2021, con i membri della giuria del Globo d’Oro. 

Il talento del calabrone è un film che si svolge a Milano, in una stazione radio, e nell’auto di un attentatore. Protagonista Sergio Castellitto, come lo ha convinto?
Giacomo Cimini: “Non lo conoscevo personalmente, ha letto la sceneggiatura e si è innamorato del personaggio. Abbiamo lo stesso agente, certo questo ha facilitato la comunicazione tra noi. Il punto centrale è stato però interessarsi alla storia e a ciò che avevo fatto in passato. Ovviamente c’è stata una lunga discussione, un confronto molto bello per analizzare insieme la storia.

“Sergio rispetta molto il testo scritto, per la mia modalità di lavoro imparata a Londra collaboro il più possibile con gli attori, anche in fase di prova, quindi con lui abbiamo lavorato per migliorare i testi, ma poi lui li rispetta tantissimo.”

Da dove nasce l’idea di questo film? E come mai la scelta di Milano?
“La storia è ispirata ad un evento vissuto dallo scrittore del soggetto e coautore della sceneggiatura Lorenzo Collalti. Milano è una città che è un po’ conosciuta come la città delle radio commerciali.”

Il set invece è stato costruito, a Roma, su una piattaforma rialzata di due metri: come mai questa scelta?
“Il problema era tecnico. Il film è girato in continuità, girarlo in tempo reale è un problema se si gira in un ambiente vero. Ovviamente non c’era un grattacielo con quelle caratteristiche, e quando inquadri la città il meteo potrebbe anche variare e spezzare la continuità del film. A quell’altezza le finestre del grattacielo sono graduate, non fanno entrare la luce solare, di notte le immagini sono molto più buie. È un film ambientato poi totalmente di notte, voleva dire lavorare esclusivamente con le tenebre. Una serie di problematiche insomma.

Abbiamo lavorato con lo schermo cinematografico più grande d’Europa

Così ho avuto questa idea di utilizzare la tecnologia di ripresa degli anni 60-70, il primo fu Kubrick con ‘2001 Odissea’ nello spazio, ossia alle spalle di questo cubo di cristallo ricostruito in studio c’era uno schermo cinematografico, il più grande d’Europa. Venivano proiettate immagini girate live a Milano. Quando l’attentatore tiene in scacco la città è lo stesso usato nella realtà, ossia nulla di quello che vedete nel film è reale, e alla fine il trucco è svelato.”

È la prima volta in italia?
“Assolutamente sì. Poi abbiamo girato in modo molto analogico, con una serie di accortezze grazie al direttore della fotografia. L’esplosione del palazzo non è stata aggiunta in post produzione, gli attori la vedono dal vivo. Girando tutto in green screen saremmo stati due anni in post produzione, probabilmente. Comunque gli attori si trovavano come in un grattacielo, ricordo che Sergio Castellitto era elettrizzato.

Il film era un vero e proprio puzzle

Io sono cresciuto per il cinema fantastico, ho una passione per l’effetto magico che il cinema riproduce. Poi sono anche uno storico del cinema, ho studiato la storia degli effetti speciali. Il film era un vero e proprio puzzle, in più le prime ad essere girate erano le scene finali. Le parti esterne notturne siamo andati a girarle a Milano. Una porzione molto piccola comunque, il resto tutto in un palazzo sulla Tiburtina.”

Il film potrà avere un effetto positivo sull’audience più giovane, su eventuali bulli, nel metterli in guardia su eventuali ripercussioni future?
“Devo dire che è stato molto interessante il rapporto con i social, molti ragazzi mi hanno scritto e ringraziato perché colpiti da come il tema non fosse stato minimamente accennato, e in questo modo arrivasse molto più dirompente nel film. Ho avuto incontri interessanti nelle scuole, mi sono confrontato con gli studenti ed era interessante vedere il modo in cui il tema veniva trattato.

Il film è uscito in streaming e non in sala. Come ha vissuto questa scelta, immaginiamo per colpa del Covid? E quali conseguenze ha avuto il virus sulla produzione del film?
“Il film era finito a gennaio 2020 e pronto per la distribuzione a marzo. Dal 5 marzo sarebbe stato in sala, ma le sale hanno chiuso il 2. È stato un colpo devastante dal punto di vista professionale. Poi abbiamo fatto i conti con una realtà ben più drammatica, quella della pandemia, e me ne sono fatto una ragione. Il film era stato concepito sin dall’inizio per la sala, tutti gli accorgimenti tecnici erano per quel tipo di distribuzione. Ritmo, recitazione, linguaggio, tutto quanto. Perfino l’impianto sonoro. Non so quanto si possa valutare senza la sala. Poi il film ha trovato la sua strada online, dove pare sia comunque andato molto bene.”

I tempi sono comunque veritieri

Quanto tempo ci avete messo per girare tutto? È quanto di budget?
“Cinque settimane per girare, di budget parla la produzione! Quando mi hanno dato l’ok è stato un atto di grandissima fiducia.”

Il suo film è un duello telefonico dove la dialettica la fa da padrona: potrebbe essere un fatto vero o è pura fantasia?
“È proprio così, abbiamo studiato il più possibile i meccanismi di interventi dei carabinieri, le procedure che seguono le radio, su alcune cose ci siamo presi delle licenze, ma le dinamiche in atto sono quelle che avrebbero potuto verificarsi nella realtà, anche i tempi di intervento, ovviamente tenendo un ritmo sincopato, quindi velocizzando un po’. I tempi sono comunque veritieri. Abbiamo dato per scontato che l’uomo potesse avere accesso alla linea telefonica, poi come si scopre lui ci riesce grazie al basista interno alla radio.”

Il film tratta temi delicati come il bullismo e il rapporto genitori-figlio. Ci sono elementi di una storia vera? Ed è la prima volta che collabora con Castellitto?
“Sulla storia vera c’è, come in tutte le storie, qualcosa di personale che emerge. Qualcosa si porta sempre della propria esperienza. Io sono un papà, quindi le emozioni e la possibilità di provare empatia sono state sempre molto forti. La collaborazione con Sergio è stata molto bella, era la nostra prima collaborazione, ci siamo incontrati e parlati e immediatamente è scattato un grande feeling, anzi spero di lavorare ancora con lui. Ha fatto un lavoro straordinario, tra l’altro corale.

Alcuni hanno criticato il mancato accento milanese, o il deejay così popolare..
“Non c’è alcuna attinenza col reale, il personaggio è inventato. Di personaggi non particolarmente brillanti ma che muovono le massa dicendo cose risibili o addirittura aggressive e offensive credo sia pieno. Dire che il personaggio non è brillante o accattivante sono opinioni. Sulle inflessioni dialettali, spesso la critica più frequente è che gli attori parlino troppo romano! Mi interessava ricostruire un meta-linguaggio, quello delle radio, senza inflessioni dialettali. Non abbiamo mai detto che il Dj era milanese e nato e cresciuto a Milano.”

Portare una donna in un ambiente maschile è stata una scelta emblematica

Il deejay certo non ispira simpatia, sin dal primo momento, anzi risulta spocchioso. Era nelle intenzioni dipingere un protagonista così poco empatico?
“C’era questa volontà in effetti. Un po’ per rompere un certo tipo di personaggio, l’idea era di presentarne uno non molto empatico, verso il quale non provare empatia. Perché il film parla di questo, della mancanza di empatia. Poi c’è un fatto di onestà, dal primo momento racconto chi è il cattivo, l’antipatico. Io non ti dico mai che il mio personaggio è buono, te lo dico subito che è antipatico. Così come si capisce subito chi è Castellitto. Il nostro Dj è un predatore, sta appollaiato su un grattacielo come farebbe appunto un uccello predatore.

Quindi sì, non è un personaggio simpatico ma pretende di comunicare simpatia, e Lorenzo in questo è stato molto bravo, oltretutto è una persona adorabile. C’è una scena che a mio avviso si apprezza di più a una seconda visione, quando a lui viene tolta la voce, e il commissario gli suggerisce tutto, e lui in quel momento capisce chi è l’attentatore, e lì tutto cambia e si capisce anche tutto il lavoro fatto da Lorenzo, che è stato sul set sempre. Sergio Castellitto non era in una macchina ovviamente, Lorenzo era in una stanzetta separata e dava le battute a Sergio.”

In questa storia improbabile c’è qualcosa di ammaliante che ti incolla allo schermo. Cosa ha spinto Arturo Paglia a produrre il film?
“Sono stati una serie di coincidenze che ci hanno portato alla collaborazione con Arturo, che era rimasto colpito da un mio cortometraggio. Si parla sempre di cinema internazionale, non so cosa voglia dire, ma forse per la mia esperienza all’estero ha pensato che potessimo portare una storia un po’ lontana dai soliti generi, che si svolgesse come un duello, con una certa tensione. Si è innamorato del soggetto e della sceneggiatura, la cosa più bella è stata la fiducia che mi è stata data per lavorare con un cast così importante e l’utilizzo di varie tecnologie.”

C’è stata una presenza/non presenza di Castellito, dove in alcuni momenti si sente solo la sua voce. Come mai questa scelta?
“Sergio ha una voce molto importante e incredibilmente sinuosa, poi era dettata dal meccanismo narrativo di alternanza tra ambienti, ma tutto è stato calibrato e costruito per creare e mantenere tensione.”

Interessante l’idea del tenente colonnello in abito da sera scollato con la pistola sulla spalle. Come avete avuto questa idea? Non credo che nella reale vita poliziesca esiste un comportamento simile o sbaglio?
“Si sbaglia, nel senso che è stata una cosa documentata. È uno degli aspetti che viene più apprezzato da molti carabinieri che mi hanno scritto, perché raccontiamo le forze dell’ordine in modo diverso dalla tradizione. Il tutto è ispirato da un mio colloquio con un colonnello, mi raccontò che per una emergenza lui dovette scappare da una serata di gala in giacca e cravatta. Un altro aveva la muta, stava facendo sub. Quindi l’episodio ci aveva divertito e lo abbiamo portato nel film. In più non esistono donne tenenti colonnello, esisteranno a breve, e portare una donna in un ambiente prettamente maschile è stata una scelta emblematica. Il detective per sua natura è un eclettico, vedi Poirot, e Anna è invece un personaggio diverso, con un colore che nessun altro indossa. Il film è sulla messa in scena, tutti indossano costumi.”

Riguardo al titolo è venuto in mente ‘Il talento di Mr. Ripley’, c’entra qualcosa?
“Il titolo è una intuizione della produzione, questa volta è stata felice. Come per dare un riferimento, ossia il cattivo è uno dei personaggi che vedete e che non è chi sembra.”

Prossimi progetti?
“Sui prossimi progetti vorrei visitare un altro genere, la fantascienza. Non posso dire molto, ma è sempre stato un sogno, mi piace lavorare sul genere e all’interno del genere, raccontare rapporti di famiglia. Quindi anche il prossimo progetto sarà così, una sorpresa.”

“Il talento del calabrone” partecipa al premio cinematografico Globo d’Oro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, edizione 2020-2021.