“‘La Stanza’ calzava alla perfezione col lockdown”
Incontro streaming con Stefano Lodovichi (regista)
e Camilla Filippi (protagonista)
di "La stanza"
In concorso per il Globo d'Oro 2020-2021
“Pensate che il documentario originario si chiamava ‘Chiusi in casa’, quindi calzava alla perfezione col periodo.” Questo è quanto ha detto la regista Stefano Lodovichi durante l’incontro virtuale, insieme con l’attrice Camilla Filippi, il 10 marzo 2021 con i membri della giuria del Globo d’Oro.
Il film è ‘poco italiano’, un noir, psichedelico, thriller, forse più anglosassone e nordico. Come è nato?
Stefano Lodovichi: “Nasce da un’idea per un documentario sui ragazzi hikikomori, che si chiudono in casa, una categoria di persone che nasce in Giappone, ormai molto presente anche in Italia. Adolescenti che tendono ad escludersi dalla scuola, dalla socialità in generale e si rinchiudono in casa. Hanno paura del confronto con l’esterno, la realtà e la vita vera, e vivono solo una vita virtuale attraverso social, utilizzando avatar che possono gestire e li rappresentano per come loro vorrebbero essere. Ma realizzarlo era davvero difficile, e ho pensato di raccontare la storia da altro punto di vista, che comprendesse anche i genitori e il rapporto coi figli, per capire anche cosa c’è fuori da quella stanza. Alla fine non è un film sugli hikikomori, ma è ispirato a loro. “
C’è qualche somiglianza tra il vostro film e ‘Shining’. Questo film vi ha ispirato?
Stefano Lodovichi: “No, non mi ha ispirato. Difficile per un regista nato dagli anni 70 in poi non farsi influenzare dal cinema di Kubrick, soprattutto per certi tipi di genere, a me però piace giocare coi vari generi, ed omaggiare certi tipi di film e di registi. Qui ci sono riferimenti, senza dubbio, Shining penso sia uno dei migliori esempi di racconto che avviene tutto dentro una casa. Ci sono riferimenti anche nell’ultra violenza finale, certo, è un giocare e un omaggiare. Anche la componente sci-fi c’è, ed è importante. Tra l’altro l’amo molto.”
ho cercato di mettere in dubbio il mio essere figlio
Il film è stato girato in tempi record, due settimane e nel difficile rispetto delle norme anticovid. Come è stato questo periodo?
Camilla Filippi: “Ci tengo a sottolineare che nessun attore è stato maltrattato sul set! Girare in soli 17 giorni è stata una sfida, eravamo appena usciti da un lockdown pesantissimo, e ci siamo rinchiusi in un unico set. Per me un massacro fisico e psicologico. Arrivavo al mattino, piangevo per una decina d’ore e poi tornavo a casa, e visto che anche il periodo era complesso, è stato davvero stressante. Facevamo ciak lunghissimi, soprattutto per le scene attorno al tavolo, e quindi le lacrime alla fine diventavano proprio vere, e si andava in iperventilazione. E a causa di questo ad un certo punto sono proprio svenuta, sono caduta ed ho battuto perfino la testa. Nessuno è riuscito a prendermi.”
Un film claustrofobico dopo un periodo claustrofobico. Ma l’idea immagino sia venuta prima della pandemia. Non hai sentito il peso di girare un film claustrofobico, a livello di audience?
Stefano Lodovichi: “La sceneggiatura è nata due anni e mezzo fa. Lo stesso lockdown e pandemia alla fine ha però rivoluzionato tutto il mercato. Ma siamo riusciti comunque ad innescare questo progetto, pensate che il documentario originario si chiamava ‘Chiusi in casa’, quindi calzava alla perfezione col periodo. Sapevamo che alla fine si sarebbe cercata l’evasione, la leggerezza. Ma magari anche la voglia di farsi domande, che il nostro film scatena. Con questo film ho cercato anche di mettere in dubbio il mio essere figlio e il mio convivere coi due figli di mia moglie Camilla.”
La casa è come quella di Psyco
Dove è stato girato? La casa esiste o è frutto della scenografia?
Stefano Lodovichi: “La casa non esiste, è stata tutta costruita in teatro di posa, dopo essere stata studiata e disegnata. Questo tipo di storia ha sempre bisogno di una casa che sia particolarmente personale, che abbia forte identità, come la casa di Psyco o di The Others. Doveva avere determinate crepe, di stile, di ceto sociale anche se in coma e impolverato.”
Il film è stato girato in piena pandemia: come è stata questa esperienza, ci potete raccontare a livello pratico l’esperienza, le difficoltà, se c’è qualcosa che vi ha sorpreso?
Stefano Lodovichi: “Non abbiamo tagliato nulla, la sceneggiatura prevedeva solo interni. Le difficoltà di oggi col Covid si hanno soprattutto quando si lavora con tante persone, più siamo più è probabile che ci sia qualcuno contagiato.
Camilla Filippi: “Noi abbiamo iniziato appena dopo il lockdown, col virus crollato. Ovviamente nessuno toglieva mascherine ed eravamo costantemente tamponati, abbiamo seguito protocolli rigidi e infatti nessuno si è ammalato.”
Come si fa a scrivere e a realizzare un thriller? Studiando i maestri del brivido?
Stefano Lodovichi: “Penso che intanto si debba amare questo genere, e conoscere la sua struttura narrativa. Io ho scritto il film in più fasi, era più teatrale come narrazione, ma pian piano è cambiata perché non mi rappresentava del tutto, io sono più spensierato, ad esempio la scena di Tozzi è anche divertente, in un certo senso si ride. Con l’entrata di un altro sceneggiatore, mi ha aiutato a farlo diventare un film molto più di intrattenimento.”
Camilla, come hai preparato il ruolo e se sono stati momenti che hai avuto difficoltà durante le riprese? E Stefano, questo è il suo genere preferito?
Camilla Filippi: “Ho preparato il personaggio insieme ad un coach, con Stefano abbiamo parlato molto. È stato sempre difficile, dovevo sempre provare dolore e questo stanca, dovevamo trovare un equilibrio. Un altro aneddoto, un giorno durante il massimo della tortura ho pianto tantissimo, al punto che non riuscivo a farlo più, quindi ho pianto per questa mancanza di pianto, e sono entrata in cortocircuito tanto che sono dovuta uscire di corsa dal teatro per prendere aria. Un altro giorno ero sulla scalinata e sento un rumore, in un secondo ho lanciato un urlo secco, sono scesa di colpo e fuggita via, la scala era crollata, non di tanto, una ventina di centimetri, ma sotto c’era la troupe!”
Stefano Lodovichi: “È il personaggio più complesso che abbia mai scritto, quello interpretato da Camilla. Rileggendolo a posteriori, ti rendi conto dei tanti particolari che ci sono. Inizia che vuole uccidersi, dunque mantenere la sua credibilità tra questo e far entrare uno straniero in casa è difficile. Camilla è stata bravissima.”
Se non diventi genitore è difficile comprendere i genitori
Il film è anche un’analisi sociale sui danni che possono recare genitori in rapporti altamente conflittuale sui figli. Tema di attualità oggi con la disgregazione della famiglia tradizionale. Era vostra intenzione toccare questo tema?
Stefano Lodovichi: “In una versione precedente, il figlio diceva al padre che un figlio non può essere un sasso che si lancia in uno stagno per poi dimenticarsene. C’è sempre della responsabilità. Inizialmente ho condannato tanto i miei genitori per alcuni loro comportamenti, assenze, cose ingiustificabili per me. Crescendo e confrontandomi dopo la morte di mia madre, che ti porta a diventare adulto di colpo, ci si rende conto di tante altre cose. La condanna di un genitore è sana, anche logica, ma bisogna farci la tara. Certi errori non possono non esserci.”
Camilla Filippi: “Se non diventi genitore è un po’ difficile comprendere i genitori. Se hai solo il punto di vista di figlio è un po’ limitato.”
Com’è stato essere diretta dal marito, Camilla, e com’è stato dirigere sua moglie, Stefano?
Camilla Filippi: “Il rapporto tra il regista e suoi attori è sempre un rapporto d’amore, quindi in un certo senso io e Stefano eravamo anche più avvantaggiati, tra noi c’è un codice comunicativo codificato da tempo e non va trovato sul set, basta un’occhiata e una parola. Sentirsi amati vuol dire sentirsi protetti, e sei anche più disposto a lanciarti a fare cose in un primo momento impensabili.”
Stefano Lodovichi: “Per me è naturale, stimo tantissimo Camilla, penso sia una delle interpreti migliori che abbiamo in Italia. Ho un po’ di insofferenza per quegli interpreti che fanno sempre le stesse cose, impoverisce il nostro sistema e la nostro cultura.”
La tempesta era vera o finta?
Stefano Lodovichi: “Abbiamo lavorato un metro e mezzo fuori dalla finestra, con effetti speciali che interagivano col reale. La pioggia era ricreata, accumulata in un vascone. Tutto quello che vedete fuori dalla finestra è finto.”
Grande prestazione di Guido Caprino. Come è stato scritto il personaggio e come avete scelto l’attore?
Stefano Lodovichi: “L’idea di Giulio era quella di un personaggio irrisolto, un uomo di indole e animo ancora da ragazzino. È cresciuto distrutto, quindi è un uomo che cresce in una scatola troppo piccola. Da’ la colpa di tutto al padre, ed è un punto di vista ancora infantile, fin troppo riduttivo. Guido Caprino ha un metodo, una personalità molto forte, non usciva mai dal personaggio, era come avere sempre Giulio in mezzo a noi.”
Camilla Filippi: “Lavorare con attori bravi è un privilegio, non si è mai bravi da soli. Comunque anche Edoardo Pesce per me è stato un faro di luce per tutto il film. Per noi ha interpretato un uomo piccolo e vigliacco, ma ha portato davvero luce e salvezza emotiva.”
“La stanza” partecipa al premio cinematografico Globo d’Oro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, edizione 2020-2021.