Con ‘Abbi fede’ penetriamo nelle coscienze delle persone
Incontro streaming con
Giorgio Pasotti (regista)
di "Abbi fede"
In concorso per il Globo d'Oro 2020-2021
“Il regista danese ha visto il film e mi ha mandato un pensiero di cui vado fiero, mi dice di aver visto un altro film, gli ricordava il suo ma ha riscoperto la sua storia.” Questo è quanto ha detto il regista Giorgio Pasotti durante l’incontro virtuale il 24 febbraio 2021 con i membri della giuria del Globo d’Oro.
Il film nasce da un’altra opera, danese: come è nata l’idea di adattarlo in italiano?
Appena vidi il film danese me ne innamorai perdutamente. Per molte ragioni fu difficile pensare ad un remake, perché la realtà sociale che si viveva nei paesi scandinavi era molto diversa dalla nostra. Ho dovuto aspettare più di 10 anni per vedere, ahimé, quello che in Scandinavia avevano già vissuto da tanto tempo. Le problematiche che si affrontano sono attualissime, dalla rimonta di un estremismo politico di destra, alle questioni legate alle deviazioni umane come droga e alcolismo, fino agli attentati terroristici. I temi dunque legati all’attualità erano un buono spunto per raccontare il tutto in chiave ironica.
Sono tanti infatti gli spunti. Lei ha detto che avrebbe voluto far vedere il film a tanti politici, è accaduto, poi?
Non so se l’abbiano visto, mesi dopo ho avuto una proposta per diventare direttore artistico di un teatro stabile in Abruzzo, io l’ho colta perché credo che teatro e cinema siano veicoli per indirizzare messaggi, o comunque stimolare una riflessione. Il maestro Olmi diceva che l’arte nelle sue diverse sfaccettature dovrebbe stimolare un pensiero. Il film vorrebbe realizzare attraverso la risata, che poi era il principio della commedia all’italiana, una riflessione.
Il regista danese mi ha mandato un pensiero di cui vado fiero
Ma cosa l’aveva attratta così tanto di quel film danese?
Sono un fan di tutta la cinematografia scandinava, da Bergman in poi, mi tocca corde molto profonde. Vi trovo grande leggerezza e grande profondità a un tempo, non fanno mai film banali. Esco sempre dalla sala con un senso di grande commozione, un pensiero che rimane nel tempo, come fosse un seme che resta nel terreno e germoglia dopo. “Le mele di Adamo”, cui si ispira il mio film, dava un’idea di fede molto vicina alla mia. Non era uno spot pubblicitario di qualsivoglia religione, era l’intelligenza di far capire quanto la fiducia possa scardinare le proprie idee, non si tratta di fede verso la religione ma verso il prossimo. Il regista danese ha visto il film e mi ha mandato un pensiero di cui vado fiero, mi dice di aver visto un altro film, gli ricordava il suo ma ha riscoperto la sua storia. A me ha lasciato stupefatto, perché lo stimo molto.
L’idea di fare sia regista che attore è nata subito?
Sono sempre partito con l’idea di fare solo la regia, come nel mio primo film. Poi per maturata conoscenza del mio personaggio, scrivendolo forse me lo sono cucito un po’ addosso. Io non riuscivo a pensare a nessun altro attore, per Adamo, che a Claudio Amendola. Un borgataro fascista, con una presenza scenica importante, che con un solo sguardo facesse capire un mondo. Claudio ha letto la sceneggiatura in un pomeriggio, e la sera stessa mi ha chiamato per dirmi che lo faceva. Il mio ruolo era difficile e anche detestabile per certi versi, io invece da subito ho voluto un gran bene a questo prete, che aveva cieca fiducia in Dio eppure nascondeva una vita devastata.
Io cerco un complice nello spettatore
La scrittura è una passione recente?
Non è recente, risale a qualche anno fa quando un regista, Davide Ferrario, per cui interpretavo una sorta di Buster Keaton moderno, mi chiese di scrivere un soggetto sulla mia vita. A 19 anni ero all’università di Pechino perché volevo diventare medico, studiai medicina tradizionale cinese, infatti parlare con voi di cinema è quasi imbarazzante, non era proprio il mio progetto di vita. Io mi ci sono trovato, come dice John Lennon “La vita è quello che ti succede mentre stai realizzando altri progetti”. Scrissi dunque della Cina totalmente socialista, diversa da adesso, il film purtroppo non si fece ma rimase il manoscritto, sì perché lo scrissi proprio con carta e penna. Mi presentò qualcuno della Mondadori, mi chiese di romanzarlo, e lo diedi a Gianni Celati che lo recensì e da lì nacque proprio una passione.
I personaggi di “Abbi fede” sembrano quasi delle caricature, è così?
In realtà volevo che tutto risultasse molto credibile, forse non ci sono riuscito. Li volevo allegri, spensierati, fuori dalle righe rispetto agli originali del film danese che reputo molto folli. Per il personaggio di Amendola ho fatto tantissime ricerche, andando a curiosare in quei mondi, e sicuramente è realistico, l’unico che forse non lo è è proprio il mio personaggio, così strano, che dice cose assurde. La storia era difficile, secondo me anche coraggiosa, e in Italia non si fa così spesso.
Come mai infatti la commedia grottesca non prende piede in Italia?
Sono sincero, molte delle commedie che si fanno in Italia trovano in me uno spettatore pessimo, non riesco più a ridere di certi cliché, che vuole assecondare il gusto di un pubblico che ormai è rilassato, come dire, che non ha più voglia di essere partecipe nel film. Io cerco un complice nello spettatore, che con me rida ma si interroghi anche. La commedia all’italiana ha perso il suo specifico, far pensare facendo ridere, ma mai superficialmente. Trovo che per tanti anni in Italia si è continuato a fare commedie solo per rilassare il pubblico, ma a me non fanno ridere e non mi piacciono.
C’è una commedia che invece ti ha fatto ridere ultimamente?
Per rispondere devo andare indietro negli anni, penso a Virzì, ad alcuni lavori di Paolo Sorrentino. The Young Pope mi ha molto divertito per esempio. Se no devo andare indietro di parecchio, a Scola, Risi, Monicelli, Fellini. Devo ributtarmi per forza in quell’epoca lì. Vedo invece commedie francesi che mi divertono parecchio. Io non ho fatto studi classici di cinematografia ma vedo tanto cinema e mi sono applicato a vedere di tutto.
Lei ha scelto di dare un messaggio serio con un sorriso?
Non ho questa presunzione, ma faccio film che in qualche modo stimolino un pensiero e una riflessione, che ricerchino nella società storie che possano essere riprodotte per dare significato al mestiere che faccio. Non è solo intrattenimento, c’è anche una responsabilità, noi penetriamo nelle coscienze delle persone, io non voglio liberarmi di questa responsabilità, quindi quando scrivo un film cerco di trasmettere una mia idea su temi specifici. Nella mia opera prima volevo sottolineare come sia importante la nostra tradizione, che stiamo perdendo e che invece dovremmo recuperare. Cerco dunque di fare film che io potrei andare a vedere.
quel personaggio Amendola poteva restituirmelo con una padronanza totale
Amendola quasi irriconoscibile, come ha deciso di fare questa parte?
Io sono un fan di Amendola, lo seguo da anni, credo di aver visto tutti o quasi i suoi lavori. Sapevo che quel personaggio lui e pochi altri potevano restituirmelo, con una padronanza totale. La prima parola la dice a pagina 15 del copione, quindi avevo bisogno di un attore che parlasse col fisico. Un personaggio simile non credo l’abbia mai fatto, Adamo è agli antipodi dall’uomo Amendola. Politicamente, è proprio l’opposto, quindi lui si è messo tanto in discussione. Probabilmente nella vita vera lo odierebbe. Per accettare mi disse semplicemente “Tu sei pazzo. Ma questo film lo voglio fare”.
E gli altri attori?
È stato più complicato che per Amendola. Quindi tanti provini, soprattutto per il fondamentalista islamico avevo bisogno di un uomo dalla fisicità nervosa, pronto a scattare da un momento all’altro, con cattiveria tale e tanta che a un certo punto diventava quasi comica. Ho fatto provini con tantissime persone, e quello che ho trovato, Aram Kian, mi pare perfetto. Invece Robert Palfrader, che interpreta Gustav, in Austria è una vera celebrità, una sorta di Checco Zalone austriaco. Si è dovuto imparare tutto il copione in italiano, è stato straordinario. Anche Gerti Drassl ci ha dato una fisicità straordinaria.
Come mai avete scelto il Trentino?
Volevo un luogo di confine, non catalogabile. Siamo in Italia ma potrebbe essere altrove. I luoghi di confine sono terre di nessuno, a me affascinano molto, con culture che si mescolano tra loro, sembrano un ibrido ma custodiscono le loro tradizioni con molta dedizione. Luogo ideale per persone di diversa provenienza.
Dove sta la verità nel suo film?
Ho una non risposta. Mi pongo molti quesiti, dalle più sciocche alle più importanti. Forse è proprio nel dubbio. Vorrei stimolarlo, solo attraverso il dubbio infatti si può stimolare una ricerca verso la verità. Mettersi in discussione, non credere in verità assolute. All’alba dei miei 50 anni io continuo a farmi domande, più o meno seriose.
Quali sono i punti di forza e i limiti nel fare regista e attore?
Non so se ci sono limiti. Se diventa un obbligo magari è un limite, ma se uno scrive un film e sente di poter interpretare un personaggio, non vedo quale potrebbe essere il limite. Ho film che ho in mente di girare che non mi vedranno in scena, altri dove mi imbarazzerebbe chiedere di interpretare certi ruoli ad altri attori. Un ruolo cinico e cattivo, spietato, senza alcun rimorso, preferisco assumermi io il peso di un ruolo di questo tipo.
Cosa ti ha spinto a tornare dietro la telecamera dopo anni?
‘Abbi fede’ è stato un film difficile da mettere in piedi. In Italia si tende a replicare schemi che funzionano, anche i giornalisti tendono a premiare qualcosa di conosciuto. Andare a mettere soldi in una sorta di remake di un film danese, con connotazioni grottesche, capirete come fosse difficile.
Lei è stato un campione di arti marziali, anche adesso?
No, non pratico più, dopo tanti anni, fino ai 25 anni, poi non riuscivo più a lavorare e ad allenarmi, ho mantenuto però alcuni cardini di queste discipline nella mia vita di tutti i giorni. Era anche un lavoro per me, con anni di agonismo, ho passato tre anni in Cina ad allenarmi, poi però ho esaurito questo tipo di vita. Finché avevo il tempo, la voglia e la forza l’ho fatto, ma mi portava troppo via, troppo tempo, e ho dovuto fare una scelta netta.
ho vissuto lo streaming una esperienza meravigliosa
Cosa vuol dire per un regista far uscire il film solo su streaming?
Da un lato l’Italia era impreparata allo streaming. Io stesso lo ero, pur essendo un fruitore. Non ho mai pensato al mio film destinato a quel tipo di tecnologia. Dopo una certa delusione da quelle che erano le mie aspettative, perché lo avevo pensato per la sala cinematografica, ho vissuto invece una esperienza meravigliosa, lo streaming arriva ad un pubblico più eterogeneo ed anche più ampio, ho avuto quasi un milione di visualizzazioni. Continuo però a pensare che esistono film che devono andare al cinema perché pensati per il cinema. Nonostante io fruisca delle piattaforme, sono anche un appassionato di serie tv. Ma sono anche un nostalgico e vorrei che alcune cose rimanessero nel cinema.
Come vedi il futuro del cinema?
Lo streaming inevitabilmente è una occasione, e non si può non fare i conti con quello che è già presente. Il cinema continuerà ad esserci, come esperienza è irripetibile. Vive anche dell’entusiasmo del pubblico. Quando la sala è gremita, le emozioni si trasmettono l’un l’altro. Si vive un film all’interno di un film. Un’esperienza del genere è irrinunciabile, ma bisogna anche pensare ad un linguaggio e a dei temi che devono essere proiettati unicamente nelle piattaforme. Non eravamo così pronti ma lo stiamo diventando, causa Covid, stiamo iniziando a distribuire film per il cinema e per lo streaming.
Progetti futuri?
Sarà un film totalmente diverso, sul mondo del lavoro, comprese le regole post Covid, per continuare a lavorare e soprattutto per riuscire a mantenere il proprio posto di lavoro.
“Abbi fede” partecipa al premio cinematografico Globo d’Oro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, edizione 2020-2021.