‘Palazzo di Giustizia’ e il dramma della marginalità

'Palazzo di Giustizia ' e il dramma della marginalità
Selfie di Chiara Bellosi durante l'incontro

‘Palazzo di Giustizia’ e il dramma della marginalità

Incontro streaming con Chiara Bellosi (regista) 
di "Palazzo di Giustizia"
In concorso per il Globo d'Oro 2020-2021

 

“La molla che ha trasformato questa idea per un documentario in una storia vera e propria è stata la proposta del produttore.” Questo è quanto ha detto la regista Chiara Bellosi  durante l’incontro virtuale il 3 febbraio 2021 con i membri della giuria del Globo d’Oro.

L’attrice bambina è stata bravissima, è stato molto difficile guidarla?
“Non è stato affatto difficile, perché da una parte sul set e durante le prove abbiamo chiamato una coach particolarmente brava che lavora con i non professionisti e i bambini, ed ha avuto il meglio da Bianca, l’attrice, che ha di suo una personalità molto forte. Recitare per lei è un gioco, le piace moltissimo, sul set ci regalava sorprese che sono state molto utili alla storia.”

Daphne Scoccia come è stata trovata?
“Con un provino, e tramite anche un colpo di fulmine, io avevo molto in mente una Angelina molto diversa, ma quando parlava mi comunicava molto, ha anche qualcosa di selvatico che mi affascinava.”

il cuore della storia è il rapporto tra Domenica e Luce

Come mai non ha fatto sentire la sentenza finale?
“Era già stato deciso in fase di scrittura, secondo noi non doveva essere la fine del film, così come quello che accadeva dentro l’aula del tribunale non doveva essere il centro del film, per me il fulcro e il cuore della storia era il rapporto tra Domenica e Luce. Nessuno dei due imputati alla fine era totalmente innocente o totalmente colpevole, ma per me la cosa più importante era il rapporto delle bambine, di cui una più grandicella naturalmente, che erano lì per fatti causati dai loro padri.”

Qual è stata la molla per il grande passo, verso i lungometraggi?
“La molla che ha trasformato questa idea per un documentario in una storia vera e propria è stata la proposta del produttore. Aveva visto qualcosa di interessante nel documentario. Ha portato anche ad un percorso bello e interessante, al di là del confronto continuo con la produzione io sono stata parecchio tempo dentro a un tribunale, prendevo appunti, mi muovevo, guardavo, le aule, il bar, i corridoi. Poi è arrivata Luce, la bambina, e il suo sguardo è diventato l’occhio protagonista di quel che si vede nel film.”

Ciascuno di loro cerca di portare a casa il proprio quotidiano

Il film è ispirato a un vero fatto di cronaca?
“No, non direttamente, ma ci sono stati vari fatti di cronaca cui ci siamo ispirati. La scelta per questo tipo di reato è stata narrativa. Ci è sembrato dovesse servire un nucleo che però non dovesse chiudersi con una condanna o assoluzione, con una idea di giusto o sbagliato assoluto. La nostra è stata una scelta precisa, di non prendere le parti di nessuno. Avere una situazione così cruda all’interno dell’aula narrativamente ha permesso di essere più liberi sulle due protagoniste.”

Può essere definito il dramma della marginalità, perché lo sono sia i ladruncoli, sia il piccolo lavoratore?
“Sicuramente, nessuno è alla ribalta di qualcosa, ciascuno di loro cerca di portare a casa il proprio quotidiano, ed è quello che fa ciascuno di noi se ben pensate. Stare in un distributore di benzina è comunque vivere una situazione una po’ da far west, non sai mai cosa ti può accadere.”

Quali limiti ci sono stati per girare in un luogo pubblico come un tribunale?
“Noi non abbiamo girato in un tribunale vero, se lo sembrava mi fa davvero molto piacere! Abbiamo ricostruito tutto in un’ala di un vecchio ospizio per i poveri a Torino, sull’impronta del tribunale di Milano, dove io vivo e dove spesso mi sono recata per osservare tutto, a partire dalla sua architettura razionalista, che lo rende edificio imponente, con linee rette, perpendicolari e verticali, ma non un posto accogliente; il nostro scenografo ha ricostruito tutto, compreso dunque il fatto che non fosse affatto accogliente.”

pensavo di fare un film senza nessunissima musica

Come finisce la storia tra la ragazza e l’operaio?
“Il regalo che Domenica riceve è una canzone, che la fa ballare, e quella scena le permette di abbattere i muri che ha intorno, ed è stato pensato per un personaggio che per l’80% del film è seduto su una panca. Non mi piaceva però che la liberazione dipendesse per forza da una figura maschile, o dall’amore che sboccia. Lui le lascia il titolo della canzone, lei ha lasciato il portachiavi, quindi lui forse la ricercherà, non lo sappiamo, ma non volevo che l’accudimento che lei prova verso il padre passasse dall’amore. Si è aperta una possibilità ma non deve essere per forza quella, ne avrà tante altre.”

Continuerà con il cinema?
“Mi piacerebbe anche perché arriva davvero tanto allo spettatore, l’esperienza è stata meravigliosa. Stupendo anche il rapporto col produttore e con la casa di produzione “Tempesta”: c’è accuratezza e un ragionamento dietro le proposte che possono arrivare che è proprio un accompagnamento, mai una imposizione. Ti senti curato e ascoltato, mai senti che qualcuno interviene per importi una visione o una idea. C’è molto confronto, a volte anche acceso, ma il livello è buono, al centro resta la storia e la passione per la storia quindi traspare sempre.”

La canzone principale come è stata scelta?
“È stata una sorpresa anche per me, pensavo non ci fosse bisogno di nessuna canzone in un film del genere, ma poi è iniziata la collaborazione col musicista. Io avevo in mente un brano, lui mi ha fatto proposte e pian piano siamo andati in una certa direzione. Per una che pensava di fare un film senza nessunissima musica sono molto contenta per questo brano che esce dirompente e crea quasi una magia all’interno del film, all’improvviso, spontaneamente.”

L’uccellino è come il papà che non può avere vicino

L’uccellino visto come metafora della libertà è possibile?
“Non era la mia idea, ma quando si guarda un film ognuno lo fa un po’ suo, quindi ci sta. Per me era il modo di affermare la totale anarchia di Luce, la bambina, in uno spazio che non è per bambini. Rompe gli schemi con questo semplice gesto, ossia portarsi dietro l’animaletto dove non si può, e sottolinea per me il legame col papà che le aveva portato l’uccellino. Luce dovrà perfino andare da sola e perdersi per tutto il tribunale pur di ritrovarlo e riprenderselo, una metafora per il papà che non può avere vicino.

La scena della comunione come è nata?
“Per tanti anni ho lavorato nel sociale, un giorno mi trovavo con queste donne nelle case di periferia a Milano, e dicevano che bisognava far fare in ogni caso la comunione ai figli, perché se dovevano aspettare che il marito fosse uscito di prigione, avrebbe dovuto aspettare molto. Era un modo, per la madre, di dire alla figlia che doveva essere come tutte le altre.”

Lo streaming sarà la salvezza o la condanna per il cinema?
“Da spettatrice non vedo l’ora di tornare al cinema. Da tappata in casa sono ben felice che ci sia lo streaming, e che mi dia la possibilità di vedere comunque dei film, spero però davvero che si torni presto in qual luogo buio dove assistere ad uno spettacolo, assieme ad altri o da solo, per poi parlarne e condividere l’esperienza.”

Progetti futuri?
“Il più immediato è una regia proposta sempre da “Tempesta”, quello meno immediato -per mia lentezza- è un’altra storia che vorrei scrivere, non ne parlo perché è davvero troppo presto.”

“Palazzo di Giustizia” partecipa al premio cinematografico Globo d’Oro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, edizione 2020-2021.